Il triangolo verista borghese in “La Morsa” di Pirandello

Dall’8 al 18 Febbraio 2018 nell’intimo locale teatrale Spazio 18 B di Roma alla Garbatella, La Compagnia dei Masnadieri porta in scena La Morsa di Luigi Pirandello, con la regia di Jacopo Bezzi. Un nuovo successo dopo gli altri lavori che abbiamo già apprezzato sulle pagine di Gufetto: “Il Castello di K.” e “Vita di Billie Holiday” .

La Morsa è un testo che Pirandello scrisse nel 1892 e che fu rappresentato per la prima volta nel 1910 al Teatro Metastasio di Roma. Lo schema è quello del dramma naturalistico borghese, il marito, la moglie e l’amante, dove l’autore pone un nuovo nodo poetico, interessante per l’epoca della creazione: le situazioni morali di colpe e responsabilità, non sono ciecamente addossate all’adultera, ma rese poco chiare tra i tre personaggi.

Giulia, la moglie (Monica Belardinelli) viene stretta nell’angoscia della “punizione” per l’adulterio dalla guerriglia psicologica che le fa il marito Andrea (Massimo Roberto Beato), facendole prima credere di non sapere nulla e poi mettendola all’improvviso di fronte alla verità; e si trova sola, perché anche l’amante Antonio (Matteo Tanganelli), non si prende la responsabilità del guaio combinato con l’imprudente comportamento che li ha smascherati. Il dramma diventa tale nel momento che il marito la caccia di casa e le vieta di vedere ancora i suoi figli e per questo Giulia si uccide.

Encomiabile Pirandello nel raccontare, già cento anni fa, in un triangolo come questo, le colpe confuse e ripartite, che riportano, oltre che il dolore di un tradimento, anche il sopruso di un marito che decide crudeltà sulla moglie per il solo suo risentimento e la codardia di un amante che non si prende le responsabilità della passione consumata con la donna sposata.

Oggi, per fortuna, una donna che si invaghisce per solitudine o malinconia, ha il diritto di tentare un lavoro di ricostruzione della relazione di coppia o di rifarsi una vita, senza che questo le privi della possibilità di fare la madre ai suoi figli, o che la getti in una completa disperazione senza vie d’uscita. Anche se alcuni fatti di cronaca testimoniano tristi rigurgiti di queste sopraffazioni.

Anche l’amante debole che non affronta il marito, muove oggi anche a tenerezza e non più soltanto a disprezzo come un tempo, perché abbiamo imparato a rispettare le fragilità del genere maschile che non deve essere necessariamente impavido e combattivo per essere virile.

Rimane incisivo ed appassionante il testo di Pirandello e Jacopo Bezzi ci regala un respiro contemporaneo di lettura dell’epilogo: anziché lo sparo finale che si sente echeggiare nel dramma pirandelliano, in quella stessa scena si abbassa la luce di una lampadina, che può essere fedele all’interpretazione descritta dall’autore, ma anche al simbolico significato della chiusura di una storia sofferta e contrastata, per continuare una vita in maniera più consapevole e matura.

Molto bravi anche gli attori tutti, sufficientemente non impostati, ma molto definiti ed eleganti nei movimenti di scena.

La cameriera che nel testo dell’autore ingentilisce il dramma con scene familiari della vita madre figli, qui, grazie all’ interessante interpretazione di Veronica Rivolta, diventa una figura affascinante e austera che con il suo incedere lento e cadenzato sottolinea l’ineluttabile, musicando a voce una suggestiva nenia di tormento del dubbio. Diventa, così, la rappresentazione delle coscienze dei protagonisti, nel lato oscuro dei loro sensi di colpa.

Da menzionare sicuramente anche la scenografia e la composizione d’insieme di Elisa Rocca: tre cornici ampie ed esili, sospese a disegnare un perimetro che si riflettono sugli specchi delle pareti del teatro e si moltiplicano dietro il pubblico seduto lungo le pareti, che diventa parte integrante delle scene. Gli occhi muti degli spettatori ricordano il peso della reputazione sociale, sono come gli occhi della gente del “paese che mormora” e per i quali si offrono delitti efferati e sconsiderati per aggiustare gli onori.

Molto interessante, quindi, tutto l’insieme e la sinergia empatica della Compagnia dei Masnadieri, va di pari passo con l’atmosfera positiva di un locale intimo e godibile come il Teatro Spazio 18 B, che con la sua personalità accogliente mette lo spettatore di fronte ad una rappresentazione fruibile quasi come in un salotto privato.

Articolo di Paola Proietti | www.gufetto.press